Arancino o Arancina? L’eterno dilemma

di  Omar Gelsomino  Foto di Samuel Tasca

 

Mai avremmo immaginato che per colpa di una vocale sarebbero nate delle dispute che ormai vanno avanti da anni. In particolare dell’eterna disputa fra palermitani e catanesi. L’oggetto del contendere? Stiamo parlando della specialità siciliana conosciuta in tutto il mondo e che rappresenta una parte importante del patrimonio gastronomico della nostra Isola, lo street food per eccellenza e non solo. L’arancino o arancina, a seconda se ci troviamo nella cittadina etnea o nel capoluogo siciliano. Le due città ne rivendicano con orgoglio il nome. L’arancina palermitana (una delle golosità protagoniste in occasione delle festività di Santa Lucia) generalmente ha una forma rotonda mentre quella catanese e della Sicilia orientale ha anche la forma appuntita, quasi a voler richiamare l’Etna. L’importante che sia preparata col riso e ripiena di ragù ricco di ingredienti ed una panatura croccante.
A dirimere la questione è intervenuta persino l’Accademia della Crusca, secondo cui “il gustoso timballo di riso siculo deve il suo nome all’analogia con il frutto rotondo e dorato dell’arancio, cioè l’arancia, quindi si potrebbe concludere che il genere corretto è quello femminile arancina. Ma non è così semplice”. In realtà l’origine di questa gustosa pietanza di riso la si fa risalire alla dominazione araba, tra il IX e l’XI secolo, quando appallottolavano un po’ di riso allo zafferano nel palmo della mano e lo condivano con carne di agnello, chiamando le loro “polpette” con un nome che rimandasse ad un frutto: ecco le arancine, ispirate appunto al frutto più popolare coltivato in Sicilia.
Nel 1857 ne parla il Biundi nel Dizionario siciliano-italiano definendolo come “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”, più tardi l’Artusi parla di un “dolce fatto di pastafrolla e crema” mentre Traina dall’arancinu rimanda a crucchè: “una specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro”. Tutte pubblicazioni che non citano nè la carne nè il pomodoro, in ogni caso distanti il supplì dalla tradizione araba, ma molto probabile che il dolce di riso sia stato trasformato in una specialità salata. “Nel dialetto siciliano il frutto dell’arancio è aranciu, diventando nell’italiano regionale arancio, solo in seguito si userà il femminile per i nomi dei frutti e il maschile per quelli degli alberi. Dal dialettale aranciu per arancia corrispondono il diminutivo arancinu, che significa piccola arancia, arancino nell’italiano regionale”. Ecco il nome maschile usato per indicare il supplì di riso, poi ripreso da altri dizionari e inserito nei Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani e utilizzato nei racconti di Montalbano. Il nome del frutto è oscillante, arancio o arancia, anche se a volte prevale il femminile nello scritto ed è percepito come più corretto, poiché distinguiamo l’albero dal frutto. Arancino sarebbe dialettale mentre arancina lo sdoganerebbe in tutta Italia. Alla fine, accontentando tutti, però la Crusca sentenzia “il nome delle crocchette siciliane ha sia la forma femminile sia la forma maschile”. Quindi, se vogliamo chiamarlo arancina o arancino, se sia rotondo o a punta, che sia quello tradizionale o nelle sue innumerevoli varianti (al burro, con gli spinaci, alla norma, al pistacchio, ai gamberetti, ecc. ecc.) non ha importanza, godiamoci questa prelibatezza tutta siciliana, un piacere per il palato, vera delizia per i turisti e apprezzata in tutto il mondo.

 

Articolo estratto da: Biancamagazine.it

 

 

 

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