La granita: sapore estivo di Sicilia
di Alessia Giaquinta Foto di Laura Vinci e Samuel Tasca
Vi siete mai chiesti come e quando nasce la granita siciliana?
La sua origine risale al IX secolo, periodo della dominazione araba in Sicilia, e trae spunto dalla bevanda ghiacciata aromatizzata alla frutta che preparavano gli arabi: lo sherbet.
L’evoluzione di questa ricetta si deve ai “nivaroli” ossia agli uomini che si occupavano di raccogliere la neve caduta, durante la stagione invernale, sull’Etna o su altri monti siciliani e conservarla, poi, in apposite strutture al riparo dai raggi solari: le neviere.
Perché, dunque, era così importante costruire dei luoghi dove si potesse conservare la neve?
Noi, che apparteniamo alla generazione-frigorifero, immaginiamo con difficoltà i tempi in cui non esistevano né prodotti surgelati né alimenti o bibite fresche da consumare per refrigerarsi, magari, dal caldo estivo.
Gli antichi, insomma, non potendo congelare, essiccavano gli alimenti o li consumavano immediatamente. Le bevande si mettevano nelle brocche, tenute nei posti più freschi dell’abitazione.
Il professore Luigi Lombardo, etno-antropologo, in un saggio riferisce “Fino agli anni ’50 del Novecento a Buccheri, Palazzolo, Chiaramonte e in parte Buscemi si è continuata la raccolta, la conservazione e la commercializzazione della neve” tanto che si soleva dire “Sutta a nivi pani, sutta iacqua fami (sotto la neve pane, sotto la pioggia fame)”.
E quindi, come nasce la granita?
Torniamo ai nivaroli: le fonti ci attestano che, sin dal 1500, questi addetti alla conservazione della neve rivendevano, durante la stagione estiva, il ghiaccio ricavato. Esso era un ottimo rimedio per alcune malattie (si pensi a cura ro friddu, la cura del freddo) ma, in maniera particolare, serviva per rinfrescare bevande e alimenti e, perché no, per creare nuove miscele che potessero refrigerare.
Nasce così a’rattata, ossia la neve grattata e condita con il succo di limone, la vera antenata della granita siciliana.
Nel 1765 il viaggiatore francese J. M. Roland de La Platière testimonia nei suoi scritti che nell’isola siciliana “si consumano molti sorbetti (…) formate con la neve che cade sulle montagne vicine (…) portata in città ogni giorno a dorso di un mulo”.
Si trattava però di un privilegio: non tutti potevano acquistare un pezzo di ghiaccio, comunque quasi tutti potevano permettersi di consumare bibite “arrifriscati” e a’rattata almeno una volta l’anno, durante le feste patronali che cadevano nel periodo estivo.
Più tardi nacque il “pozzetto”: un tino di legno con un secchiello di zinco in cui era miscelata la neve con il sale, per abbassarne la temperatura; una manovella, inoltre, impediva la formazione di cristalli troppo grossi.
Ora non si può più parlare di rattata ma di un prodotto più cremoso e denso: la granita.
Nel tempo, chiaramente, la neve è stata sostituita dall’acqua, lo zucchero ha preso il posto del miele e il freezer ha soppiantato sia le neviere, sia il pozzetto e il lavoro di quei nivaroli che, grazie alle nevicate, riuscivano a integrare il loro magro reddito.
Dal 2012 si organizza, ad Acireale, il Festival della Granita Siciliana in cui maestri pasticceri si sfidano nella preparazione delle granite: da quella al limone, alle mandorle, ai gelsi, alla fragola, al torrone e ancora al pistacchio, al caffè, al cioccolato… Oggi ne esistono più di 80 varianti. L’obiettivo è fare della “granita artigianale siciliana un’icona identificativa del territorio”.
Provate a spiegarlo, oggi, a un bambino che tranquillamente gusta una granita: ditegli che sta assaporando il risultato di una tradizione secolare, meravigliosa e incredibile; ditegli che lì è contenuto il sapore estivo della terra siciliana.
Articolo estratto da: Biancamagazine.it
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