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In un’epoca di cui le testimonianze si sono disperse tra le sabbie del tempo, una divinità stanca delle incessanti diatribe che avvelenavano la sua celestiale cerchia di conoscenze prese una drastica risoluzione e si ritirò sulla sommità di una collina, nascondendosi in un paesaggio pieno di grotte e valli, il luogo dove poi sarebbe sorto il comune più alto della provincia di Ragusa, ovvero Monterosso Almo, un centro il cui nome evoca già vessilli di regalità e stendardi di grandezza.
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Chi c’è i taliari
Se altrove le vestigia del passato custodite all’interno dei parchi archeologici sono disturbate dal brusio di un turismo mal gestito e indisciplinato, qui una visita presso il complesso rupestre delle Grotte dei Santi (scopri di più), l’ipogeo di Calaforno e il sito di Monte Casasia diventa un modo per ricongiungersi alla natura e per riscoprire una quiete che l’umanità ha da tempo dimenticato, quella di un momento non perturbato dalle notifiche del cellulare, dalla preoccupazione per gli indici di borsa e dagli orari della vita in città.
A Monterosso Almo le mura sembrano comunicare tra di loro, narrando antiche storie di cui l’uomo ha perso memoria, e pare esserci una segreta connessione tra le architetture e il paesaggio circostante, come se le chiese di Santa Maria Assunta, di Sant’Antonio Abate e quella di San Giovanni Battista comunicassero in silenzio con i pini della valle raggiungibile percorrendo contrada di Calaforno, dove la vegetazione è tagliata da piccoli ponti ed è sorvegliata da un mulino ad acqua recentemente restaurato.
Chi si mangia?
In questo paese presidiato da pioppi e da platani, dove tra le strade aleggia il profumo del timo selvatico e del miele che con esso si produce, anche la cucina conserva antichi sapori agresti, che si ritrovano nei cavatieddi, nei marmarati alle mandorle, nei pastieri e nelle crispelle di San Martino.
Unni imu?
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