Perdere la testa in Sicilia, una storia di passione, vendetta e disonore.
di Alessia Giaquinta
Stretti in un abbraccio da togliere il fiato, erano i due amanti. Una passione così improvvisa li legava da quel giorno in cui, per la prima volta, si erano incontrati: lei, giovane palermitana, e lui, un Moro (erano chiamati così gli Arabi) giunto a Palermo. Era il IX secolo, periodo dell’invasione musulmana in Sicilia.
Stava innaffiando le piante del suo giardino, lei. Il padre la teneva segregata in casa a causa della sua bellezza, capace di far perdere la testa a chiunque la guardasse. Fu in quell’attimo di svago casalingo che la giovane incrociò gli occhi scuri del soldato arabo che, incantato dall’estatica visione, le dichiarò immediatamente il suo amore.
Una cosa, però, il Moro l’aveva omessa: nella sua terra, in Oriente, moglie e figli lo attendevano. Intanto, immemore del suo vincolo, si godeva le bellezze e le attenzioni della giovane palermitana. La ragazza non appena scoprì ciò che l’amante le aveva nascosto, accecata dalla gelosia – la voglia era di averlo solo per sé – ed infuriata per l’offesa ricevuta, agì con la stessa prontezza che l’aveva fatto cedere tra le braccia del suo Moro: prese una lama affilata e gli tagliò la testa, mentre questi dormiva al suo fianco.
Non lo aveva solo ucciso, no. Lo aveva soprattutto tenuto con sé, per sempre.
Tra le piante del suo giardino scelse un ramoscello di basilico e lo piantò all’interno della testa dell’amante ucciso, trasformata così in una sorta di vaso. Ad innaffiare quella pianta, che così cresceva rigogliosa, erano le lacrime della ragazza, che ogni giorno se ne prendeva cura. Le vicine, invidiose del profumo e della rigogliosità di quella pianta, cresciuta in quel vaso a forma di testa (per loro era così), si fecero foggiare dei vasi aventi la stessa forma che esposero, così, sui balconi. Erano teste di moro, per l’appunto.
Si racconta pure che il padre della ragazza li sorprese insieme, mentre i due godevano del loro amore. Il legame, non autorizzato, portò l’uomo a sacrificare la figlia e l’amante per dare esempio visibile delle conseguenze del disonore subito. Le teste dei due giovani, per l’appunto, furono esposte sul balcone del palazzo, divenendo icona di una Sicilia che è capace di amare ed accogliere ma che poco tollera tradimenti e disonori. Erano altri tempi, sicuramente.
Quando si dice: attenzione a perdere la testa!
Articolo estratto da: Biancamagazine.it
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